Sensemaking nl design dell'arredo

Sensemaking nel design dell’arredo

/Francesco Ruffa

Sintesi

Sensemaking nel design dell'arredo

Esperienza semantica nel design dell’arredo

L’esperienza data dall’interazione con un prodotto (product experience) è formata da un doppio canale: estetico e semantico. Il primo è irrazionale, relativo alle nostre preferenze biologicamente predeterminate. Il secondo, invece, è conscio, e ha che fare con i valori culturali del nostro contesto di riferimento.
Dal punto di vista estetico-sensoriale, le neuroscienze hanno dedicato studi interessanti agli effetti percettivi dei singoli attributi estetici (colori, forme, ecc.). Ma la cosa più rilevante che oggi ci dicono, in sintesi, è che i singoli attributi causano effetti caotici e imprevedibili quando si sovrappongono all’interno di oggetti normali. Pertanto l’esperienza estetica può essere solo governata istintivamente dalla sensibilità del designer.
L’esperienza semantica, invece, ci permette di dire molto di più. Il sensemaking –  ovvero il processo interpretativo che sta alla base del senso evocato dall’oggetto nel consumatore – è un’azione consapevole e informata, che in fase di progetto riguarda non solo il designer ma anche e soprattutto chi ricopre un ruolo di design direction all’interno di un’azienda.
La mia ricerca ha l’obiettivo di elaborare una metodologia per gestire consapevolmente il sensemaking e dunque la qualità semantica degli arredi e degli interni. È un tema che ha ottenuto una crescente attenzione da quando la teoria del management ha riconosciuto le elevate potenzialità di processi basati sullo stravolgimento radicale dei significati.
I significati di cui parliamo – è bene dirlo – sono quelli generati dalle caratteristiche intrinseche del prodotto, al di là della comunicazione o del brand con cui esso viene veicolato. Su questa base, i prodotti possono generare significato in due modi: 1. attraverso l’uso, facendo svolgere un’attività significativa; 2. oppure tramite la qualità formale e sensoriale, che evoca qualcosa mentre lo guardiamo, lo annusiamo e lo tocchiamo. Nel mondo della ricerca, e di riflesso in quello aziendale, la conoscenza sul significato attraverso l’uso (chiamato significato latente) è stato ampiamente studiato. Al contrario, l’analisi sul significato attraverso la percezione (che chiamiamo significato manifesto) è rimasta fortemente incompleta, come se riguardasse l’arte e non il disegno industriale dedito agli oggetti d’uso.

In realtà, il design italiano non ha mai tracciato un confine di separazione tra sé e l’arte, ed è sempre stato a cavallo tra interior design e arti visuali. Le imprese italiane sono sempre state coscienti che il loro prodotto, prima di essere oggetto d’uso, fosse un segno capace di evocare valori culturali ad ampissimo spettro. Nel segmento premium a cui le imprese italiane dell’arredo si rivolgono, l’innovazione di prodotto si è sempre basata non sul significato latente legato all’usabilità ma sul significato manifesto evocato formalmente.

Oltre le interpretazioni personali

La capacità di interpretare – e soprattutto di direzionare – il significato manifesto di un progetto, intuendone le potenzialità all’interno del mercato, è spesso considerata un mix tra innata sensibilità e acquisita esperienza. Chi (imprenditore o art director) assume la responsabilità decisionale sul portfolio prodotti si attribuisce tale qualità. Tuttavia, qualunque azienda managerializzata auspicherebbe per la fase interpretativa e strategica una metodologia più sistematica. È condiviso che una maggiore conoscenza delle modalità di significazione può portare a ridurre gli errori, a costruire con maggiore consapevolezza le vision, a spiegare gli investimenti agli azionisti e a trasferire un’abilità interpretativa all’interno dell’azienda.

D’altra parte, la cultura del progetto ha già tentato nel passato di stabilire approcci interpretativi. In quel caso si trattava di teorie basate sul legame tra significato e linguaggio, la cui eredità è giunta fino a noi. Si parla, ad esempio, di “linguaggio di una sedia”. Tuttavia, di fronte all’attuale frammentazione dei valori culturali e alla conseguente destrutturazione dei codici formali, il parallelismo tra design e linguaggio sembra giunto a una debolezza mai vista prima. Come può formarsi un linguaggio quando i valori culturali da esprimere cambiano temporalmente e geograficamente a una velocità molto maggiore di quella di sedimentazione dei codici stessi?
Il design italiano ha vissuto prima degli altri il rifiuto di un prodotto ‘logico’, linguistico, ottenuto attraverso un processo lineare (idea sostenuta, invece, dalla scuola tedesca). E oggi il design internazionale dominante sembra sulla stessa linea. Esso non dice e non comunica. Piuttosto, come l’arte visuale, rappresenta, esprime, incarna. Per usare la parola più corretta: evoca.
Pertanto serve una strada alternativa alla teoria linguistica.

Attraverso la mia ricerca, ho voluto elaborare un criterio interpretativo a partire dalla semiotica pragmatista di Charles Peirce. La mia ricerca e il mio design considerano gli oggetti non come strutture linguistiche (fatte di forme, colori, ecc.) ma come segni formulati per rappresentare qualcos’altro. La mia metodologia non si fonda sulla definizione strutturale e linguistica dell’oggetto ma sulla sua modalità di rappresentazione e significazione; non intende i prodotti come somme di segni ma come segni nella loro integralità; non considera gli arredi come indicativi di un uso ma come generativi di un piacere; non vede i prodotti come ipercodificati ma spesso come ipocodificati.
L’eredità che il lavoro di ricerca ha trasferito alla mia pratica professionale è la possibilità di interpretare in modo sistematico (e non istintivo) ciò che accade nel mondo del design, avere una visione puntuale sui trend emergenti e meglio orientare nuove possibili traiettorie progettuali. La mia metodologia mi aiuta a mappare quotidianamente la cultura materiale secondo aree semanticamente coerenti, associabili a segni di natura diversa (icone, indici-tracce, indici-inviti, simboli), legati a scopi relazionali differenti (espressivo, referenziale, conativo, interattivo).

Il mio sensemaking permanente, che poi facilita l’attività di sensegiving, si articola nei seguenti step:

  • Mappatura del mercato di riferimento attraverso un benchmarking ‘design oriented’ di prodotto, che restituisca un’inedita fotografia semiotica dell’offerta di settore e sottolinei le driving forces semantiche più consolidate.
  • Analisi intersettoriale delle macro-tendenze contemporanee, attraverso un’osservazione nei settori fashion-oriented e nei territori dell’arte.
  • Costruzione di scenari ‘a tema’, frutto di mappature semantiche incrociate riguardanti settore domestico, gli altri settori di consumo fashion oriented, i campi artistici, i fenomeni di costume. Gli scenari devono rilevare strade non ancora praticate che potrebbero diventare traiettorie d’innovazione.

La metodologia è stata ampiamente discussa alla 11^ Conferenza della European Academy of Design (The Value of Design Research), attraverso la presentazione del paper Connecting Objects and Cultural Trends: A Pragmatist Approach for Sensemaking in Furniture Design.

Soluzione residenziale alternativa all’alloggio convenzionale per il superamento dei campi nomadi di Genova

Soluzione residenziale alternativa all’alloggio convenzionale per il superamento dei campi nomadi di Genova

/Francesco Ruffa

La tesi affronta le possibilità di superamento dei campi nomadi di Genova e l’elaborazione di una soluzione architettonica alternativa agli appartamenti convenzionali.

Il corpo della tesi si presenta al lettore in tre parti.

Nella prima osserviamo l’impopolarità dell’argomento: da un lato evidenziamo il legame tra il pregiudizio e la scarsa conoscenza, dall’altro comprendiamo la necessità di un intervento sociale “poco invasivo”. Vediamo poi a quali gruppi zingari si rivolge la nostra attenzione, cosa spinge a superare i campi nomadi con una proposta residenziale permanente, quali tentativi si sono fatti finora e quali risultati hanno prodotto.

Nella seconda parte rileviamo elementi d’interesse che, oltre a quelli più comuni e scontati, è utile considerare nell’elaborazione di una proposta residenziale. Osserviamo aspetti diffusi sotto il profilo della concezione dello spazio e del costume abitativo, e dedichiamo un’ampia riflessione alle attenzioni necessarie verso popolazioni composte da una forte maggioranza di bambini e di donne socialmente sradicate. Indichiamo poi alcuni criteri per la scelta di aree idonee a interventi di questo tipo, e formuliamo considerazioni progettuali sulla base delle riflessioni svolte.

La terza parte (che trova la sua migliore collocazione nelle tavole di approfondimento) contiene un esempio pratico di intervento. Analizziamo alcune aree sul territorio comunale genovese e ne scegliamo una nel quartiere di Cornigliano.
Disegniamo dunque un progetto che va ben oltre i confini dello spazio destinato alle residenze alternative: s’immagina un nuovo angolo di città in cui trovano spazio un complesso residenziale per anziani, locali destinati a progetti sociali e servizi pubblici, un bar, una scuola, un supermercato, un nuovo edificio “a torre” per appartamenti, attrezzature sportive e soprattutto spazi aperti che vogliono replicare non tanto l’idea del parco quanto quella del cortile, fruibile dal vicinato di tutte le età.
Il progetto è inteso a vari livelli di scala: quello urbano, quello globale dell’area, quello del nucleo di residenze alternative e quello della singola unità abitativa.

È interessante rilevare che la ricerca di condizioni ambientali idonee per famiglie di etnia zingara rappresenta una valida occasione per soluzioni di social housing favorevoli anche alla popolazione maggioritaria: a dispetto di vincoli di basso costo e parziale produzione standardizzata, si prova a evitare serialità e omologazione edilizia, a favorire condizioni di vicinato sulla “giusta distanza”, ad assegnare un significato ad ogni spazio comune evitando che si trasformi in spazio residuale.